mercoledì 30 novembre 2011

ITALIA-SCOZIA 34-20 l'esordio nel "6 Nazioni"

Sono almeno 3 anni che il comitato del 5 nazioni ha accettato la richiesta da parte della federazione di far parte del torneo. Saranno almeno 80, che ogni rugbysta italiano ne sogna di far parte. Il “4 nazioni” è stato inventato ed organizzato dai paesi Britannici di Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles nel 1884, 128 anni fa per la precisione. Tanti. Nel 1910 è stata aggiunta la Francia e da quella data è rimasto invariato. Tradizioni radicate in profondità nel popolo del rugby e difficilissime da intaccare.
Eppure la squadra nazionale Italiana di George Coste è riuscita nell’impresa, impossibile, di far cambiare idea a quei vecchioni del comitato del vecchio 5 Nazioni. Ci vorrebbe un libro solo per descrivere le gesta di quegli eroi, ma non sono io la persona adatta, io sono entrato nell’ambiente solo dopo, a cose fatte.
Dicevamo. Tre anni che la decisione è presa e due che il rugby italiano ha realizzato che non è un sogno. La prima partita è prevista a febbraio del 2000, in casa contro la Scozia. Poteva andare peggio…
Il mondiale in Inghilterra del 1999 non era andato proprio per il meglio, c’erano stati problemi di vario genere, e la fiducia nei propri mezzi non era proprio al massimo. Molti vecchi giocatori, che si erano conquistati il futuro “6 Nazioni” avevano anche smesso di giocare. La squadra era da rifondare. Non proprio le migliori condizioni per affrontare un impegno difficilissimo come quello che si apprestava a fronteggiare.
Per far fronte alle tante incognite, decidono di cambiare la guida della squadra. Decidono di stravolgere addirittura l’impostazione: arriva Bred Jonstone, allenatore Neozelandese che allenava le isole Fiji ai mondiali. E’ una mezza rivoluzione.
Vi tralascio la sua riunione di presentazione alla squadra. Dico solo che il metodo di allenamento è totalmente diverso. Si costruisce poco o niente rispetto a prima, ma si punta al miglior risultato possibile nell’immediato. Allenamenti durissimi per selezionare la squadra, addirittura partita “vera” probabili vs possibili, per scegliere la squadra. Probabilmente rimane la mia miglior partita di sempre in nazionale, anche se ovviamente a porte chiuse e nessuno se lo ricorda…
Fatta la squadra per affrontare la Scozia, fine. Gli allenamenti si riducono all’osso. Massima fiducia nei componenti, schemi provati al 50%, nessuna pressione (quella era già tanta da fuori), e ricerca della miglior prestazione puntando molto sulla fiducia individuale.
Fino a quel momento avevo assaporato la Nazionale stile Coste/Mascioletti…lavoro, lavoro, lavoro e lavoro. Dal punto di vista della crescita, comprensione del gioco e ambizione: meravigliosa, inavvicinabile. Ma dal punto di vista della pressione psicologica: devastante. Adesso era tutto diverso, anche la preparazione fisica. Il professor Isaia Di Cesare ci massacrava di palestra, sprint in salita, e sedute varie. Adesso, come preparatore, era arrivato un neozelandese tutto tatuato e fuori di testa che tutto sembrava tranne un allenatore. Con lo scopo di rilassare l’ambiente, giocavamo a giochi assurdi, divertenti ma assurdi.
La settimana prima della partita fu incredibile, televisioni di mezzo mondo a riprendere gli allenamenti, interviste. Addirittura avevano organizzato degli orari e degli appuntamenti per i media, per noi un altro mondo. Tutto il mondo rugby stico mondiale aspettava il nostro esordio. Tutti, tranne ovviamente i media italiani.
A tre giorni dal match, si infortuna un tre-quarti. A sostituire viene chiamato Marco Rivaro. Era militare con me l’anno prima al reparto atleti della Cecchignola. Lui arriva direttamente a Roma da Genova dove abitava. Si presenta vestito con jeans e giacca e con una busta della spesa con dentro le scarpe e basta. Bellissimo. Siamo al Jolly hotel ed essendo amici e ci mettono in camera insieme. Lui ha solo un giorno per ambientarsi, ma è tranquillo. Mi dice: “Belin, non me lo aspettavo, fino a ieri ero a Genova a farmi gli affari miei ed ora sono catapultato qui in questo ambiente fantastico. Beh per fortuna non giocherò, non so se sarei all’altezza…” Non mi dice proprio così, ma è il succo dei dialoghi di quei giorni.
Facciamo la rifinitura che serve più che altro ad entrare in partita, e andiamo a letto belli carichi. I più vecchi sono degli automi. Hanno lottato per arrivare a questo punto e adesso sono qui per riscuotere. Ma a mente fredda tutti sanno che sarà un impresa impossibile. Si vocifera che la Francia prima di vincere la sua prima partita del 5 Nazioni ci ha messo la bellezza di 30 anni, anno più anno meno.
Andiamo allo stadio, scortati. Ma non è una scorta convenzionale, sembra che sia una questione di vita o di morte. A dire la verità era la prima volta che facevamo parte di un convoglio scortato, nessuno aveva idea di come dovesse essere un trasporto del genere… La poliziotta, che guida la scorta in moto, è un invasata! Corre come se fossimo in un rally. L’autobus sfreccia nel traffico lambendo specchietti e facendo stridere le gomme! Noi siamo disorientati, ma alla fine la prendiamo con la più classica filosofia italiana: ridendo.  Lo staff Neozelandese è sconvolto! Il tutto contribuisce a sdrammatizzare un po’ il momento.
Entriamo in spogliatoio, ansia. Tanta ansia. Cominciamo il riscaldamento, il ricordo più vivo che ho, è la sensazione che si ha quando tutti quegli occhi ti guardano riscaldare. E’ pazzesco, ti senti frugare nell’anima. Qualsiasi cosa tu faccia, sai che qualcuno ti sta guardando. Fastidioso. Sei teso e nervoso, sai che qualcuno ti guarda e inevitabilmente ti giudica. Devi concentrarti al meglio per evitare errori. O lo fai o ti sotterri. Facciamo.
Finito il riscaldamento torniamo dentro lo spogliatoio. Giovannelli, il capitano, ci da 5 minuti per noi e ci richiama al centro per il discorso. Non ricordo bene le parole, ma ricordo la voce, possente e decisa. Gli sguardi dei vecchi, tesi e determinati. Mentre il ”Giova” parlava, pensavo:  “non possiamo perdere, li ammazziamo! Potrebbe esserci chiunque la fuori, gli sbraniamo”. Ad un certo punto, mentre siamo tutti in cerchio, il capitano arringa la truppa, comincia a mollare degli sganassoni ai ragazzi. Uno ad uno se li fa tutti, parte proprio di fianco a me, ma per fortuna sceglie il lato opposto per continuare, non resisterei a una magliata del genere… Dopo una decina di schiaffi, qualcuno entra a chiamarci, è ora, per fortuna…

martedì 29 novembre 2011

ROVIGO

Una mattina leggo sul giornale di un clamoroso ritorno di Alessandro Troncon a Treviso. Due palle! Va bene che treviso è la sua città, ma adesso giocava in Francia a Clermont Ferran…resta li no!?
No. Torna a casa. Va beh, due galli in un pollaio non ci stanno bene e partendo da una posizione palesemente svantaggiata decido che è ora di fare le valige. Ma dove? Non avevo lontanamente preso in considerazione l'idea di lasciare la città, avevo ancora un contratto per un anno e soprattutto fidanzata e una casa da riempire. Avevo altri progetti. Ma la vita è così. 
Vado da Munari, saluto, e sparo subito: "Vittorio, devo andare via. Mi dispiace, ma tornando Troncon io non avrei posto". Lui mi guarda un po' perplesso, non per la richiesta, ma per il fatto che c'era un contratto da rispettare. Capisco e aggiungo: "il contratto si può benissimo stracciare, se per te va bene". Mi guarda, quasi incredulo, e dice, ok! Prende il contratto e lo strappa di fronte ai miei occhi. Neanche 2 secondi dopo aver fatto la richiesta ero stato esaudito. Forse speravo che almeno facesse finta di volermi tenere. Ma probabilmente la sua stima nei miei confronti non era certo il massimo. Prendo i cocci del mio ego in frantumi ed esco.
Che testa ho! potevo almeno aspettare qualche giorno e riflettere. No, volevo la nazionale e avevo bisogno di dimostrare che me la meritavo. Dovevo giocare! Fuori dall'ufficio di Munari, incontro Stefano Bettarello. Facciamo due chiacchere e alla fine mi propone di andare a Rovigo. 
Rovigo. Cazzo, dove se non a Rovigo? Ho mangiato pane e rugby da bambino e Rovigo è sempre stata una città carica di fascino. E' stato il primo stadio di rugby che ho conosciuto. Babbo mi portava a vedere i derby con il Petrarca quando un nostro caro amico di famiglia giocava a Padova. Mi piaceva proprio l'idea di andare là. 
Ci accordiamo in un attimo, torno a casa e preparo le borse.
Arrivo allo stadio, entro in segreteria e mi accolgono tre simpatici dirigenti. Un po' in là con gli anni, ma estremamente efficienti. Mi spiegano quale e con chi sarò a condividere l'appartamento e mi accompagnano. 
Rovigo, in generale, non è certo famoso per il suo clima. Arriviamo in centro, entriamo in un bel palazzo. L'appartamento è all'ultimo piano, sotto tetto, lo condividerò con il simpaticone Luca Martin. Saluto, mi sistemo in camera. La giornata prosegue con l'allenamento e torniamo a casa. Luca però ha da fare e deve tornare a Padova, mi saluta e se ne va, tornerà tra due giorni.
La sera vado a letto. Fa caldo. Un caldo pazzesco! Sapevo che i sottotetti erano caldi, ma non immaginavo così tanto. Nella notte prendo il letto e lo porto per metà fuori sul terrazzo. Dormo.
La mattina, dopo la colazione me ne vado al campo molto presto per prendermi un po' di frescura mattutina. La giornata passa e la sera mi ritrovo a boccheggiare il casa. Spero in in acquazzone, in un cambio del tempo, niente. Continuo a soffrire e questa volta vado direttamente a dormire in terrazzo. Il giorno dopo stessa storia. Non ce la posso fare. 
Mi vengono a trovare i ragazzi a casa e ci facciamo una pasta. Mi coglioneggiano un po' per il caldo ma alla fine se ne vanno. Rimango solo, sistemo casa e ad un certo punto mi appoggio al muro sudato e stanco. Sento un calore. abbasso lo sguardo e lo vedo…è un termosifone! Mi viene un dubbio…è caldo!!! E' tanto caldo!
Quel simpaticone di Luca Martin mi aveva lasciato il riscaldamento acceso! Amorevole!
Questi sono stati i primi giorni a Rovigo...

domenica 27 novembre 2011

DERBY DI PARMA

Parma. Diciamo che Parma non è certo famosa per il calore delle sue tifoserie, che si parli di rugby, calcio o qualsiasi altro sport. In effetti a in quella bellissima città sono abituati piuttosto bene in quanto a offerta sportiva cittadina.
Quindi uno si aspetterebbe un derby tra le due squadre comunali, non proprio acceso come da tradizione. Invece...
Invece il derby che si gioca-va a parma tra Overmach e GRAN era davvero un evento cittadino!
All'inizio della stagione tutti, nessuno escluso, avevano come priorità il sapere la data della partita. Con la discrezione che è propria dei parmigiani, dirigenti, tifosi, gli sponsor si presentavano e ti spiegavano, l'importanza della contesa per una o per l'altra parte. Lo spiegavano. Con le parole giuste, e quell'italiano un po' francese. Mai un eccesso.
Giocando a rugby ho girato l'Italia come uno zingaro, ma una cosa del genere non l'avevo mai vissuta. A l'Aquila, quando parlavano della partita contro la Roma erano gasati e convinti di far pesare la loro forza bruta contro i romani, con le buone o le cattive. Spesso ci scappava l'ingiuria.  A Rovigo, prima della partita contro il Petrarca, era una vita esasperante, tutti ti fermavano, anche mentre ti vedevano passare in macchina, e ognuno ad imprecare contro i padovani. Tutti accomunati dalla voglia di glorificare l'ostilità verso il nemico. A Parma no.
Là la vita è tranquilla. Caratterialmente sono persone molto socievoli, amano parlare e non vanno mai sopra le righe. I parmigiani ti spiegano quanto sia importante la partita, ma lo fanno pacati. Sembra quasi,che lo facciano perché in tutti gli altri derby del mondo i tifosi si scannano e non vogliono essere considerati troppo da meno. Ma non hai mai l'idea che sia sentito come a Rovigo, per esempio.
Ma quando arriva il giorno della partita, arrivano anche i primi dubbi. Già lo stadio si riempie. E questo è strano. Poi l'ambiente si scalda. E pure questo è strano. Poi vedi le facce dei ragazzi di Parma che si preparano per entrare in campo e cominci a credere che sia davvero una partita molto speciale. La prima azione, il primo placcaggio è sempre un parmigiano che lo fa. Sembra incredibile, ma questo accade.
Il derby è il derby. E' veramente una partita speciale. Una partita dura, maledettamente dura. Combattuta fino alla fine. Emozionante. Dove non sai mai su chi puntare. E' anche la partita dove un dirigente può infortunarsi esultando per una segnatura!
Siccome questo è un blog che come tema fa: racconti di rugby, lascio un aneddoto.
Al primo a cui ho partecipato, rientravo da un infortunio, ero in panchina e me lo sono visto tutto da posizione privilegiata. Roberto Manghi, vulcanico direttore sportivo del GRAN, ne aveva pensata una delle sue. La mattina della partita ci presenta la maglia fatta fare proprio in occasione del derby. Voleva stupire...Maglia Rosa Shocking! Ce la propone come una cosa fantastica, geniale...dal suo punto di vista si.
Il primo pensiero è stato: se perdiamo con quella ti immagini cosa diranno tutti!? Dobbiamo vincere!
Nonostante fossimo molto rimaneggiati e loro andassero a gonfie vele vincemmo! Probabilmente Manghi contava molto sulla paura di essere coglionati per quelle maglie! Grandioso...
A proposito, Roberto Manghi, aveva fatto di tutto perché andassi a Parma. Mi aveva accolto e coccolato anche dopo che mi ero infortunato, dopo appena 20 minuti dall'esordio. Sentivo che aveva fiducia in me.
Tornado al derby, fu una partita difficilissima e combattuta. Ad un certo punto, uno dei nostri si fa male vicino alla panchina, Roberto lo sprona a giocare: "dai tieni duro! è quasi finita! forza..." ma quello sta male, non lo ascolta quasi. Roberto insiste: "dai non mollare, sei forte...forza ragazzo" Questo ancora non si alza. Noi della panchina lo guardiamo e seguiamo la scena in silenzio con gli occhi sgranati di certe occasioni. Ad un certo punto Roberto si gira verso di noi, ci guarda. Noi guardiamo lui. Pensa, ma sembra non calcolarci neanche. Si gira verso il ragazzo a terra e gli urla: "Figa! devi giocare!! Non posso mica mettere dentro quelli sfigati lì!!!"
Fantastico. Dopo un primo momento di imbarazzo scoppiammo a ridere, lui compreso. Ormai mancavano pochi minuti alla fine ed al triplice fischio il "Buro" scattò verso il centro del campo per abbracciare i ragazzi, ma non arrivò mai...dopo i primi 15 metri stramazzò a terra abbattuto da uno strappo al polpaccio. Che belli i derby di Parma!

sabato 26 novembre 2011

PROPERZI VS GIOVANNELLI

Era il lontano 1997, lItalia veniva da un periodo molto positivo. George Coste, l'allenatore, aveva plasmato una squadra a sua immagine e somiglianza. Giocavano a memoria e basavano il loro gioco sulla una difesa straordinaria, ma soprattutto erano un gruppo unito dall'ambizione di entrare nel grande rugby. Ad ogni costo. Negli anni avevano fatto un lungo percorso di crescita fino a convincere il comitato del vecchio "5 Nazioni", ad inserirli nel torneo a partire dal 2000. Quell'anno c'era "solo" da confermare al mondo che la decisione, storica, di essere stati ammessi al grande rugby, era meritata. 
La partita era Francia-Italia. La francia aveva appena conquistato il Grande Slam la settimana prima e ci aspettava a Grenoble, città con una grandissima comunità italiana.
Il ritrovo era fissato sulle colline intorno a Torino, in un convento… C'era la prima squadra e la Nazionale A, dove io ero convocato. Ci allenavamo insieme, o meglio, facevamo tutti il riscaldamento col prof. Isaia Di Cesare con i suoi "cerchi congentrici" e gli "skip di 50m più allunghi infiniti". A pensarci sembrerebbe che prendesse spunto da Mazzinga Z. Poi le due squadre si separavano ed ognuno preparava la propria partita nella sua porzione di campo. Altri tempi…
Al primo giorno di allenamento, uno dei senatori e pilastri della squadra, Franchino Properzi, non era ancora arrivato. Nelle file dello staff la cosa aveva portato un certo sgomento, visto che nessuno sapeva il motivo del suo ritardo ma soprattutto dal fatto che rimpiazzarlo era un impresa impossibile. Mi sono sempre chiesto perché lo chiamassero "Franchino", era ed è ancora un colosso di uomo ed ha un aspetto abbastanza intimidatorio, per non parlare della fama che lo precede in ogni sua uscita pubblica.
Insomma "Chino" non c'è. Aspettiamo qualche minuto poi l'allenamento comincia con il cavallo di battaglia del Prof. Isaia. "Cinque giri congetrici". Ho il cuore in gola, sono alla mia prima convocazione in Naz A ed ho la fortina di allenarimi con la maggiore, non avrei mai potuto desiderare di meglio. Cominciamo a correre, guardo i miei idoli come si allenano, Giovannelli, Vaccari, Cutitta, Francescato, Dominguez, Gardner, Orlandi e molti altri. C'è anche Gianluca Guidi, che forse non ha la storia degli altri, ma da quando sono piccolo che lo vedo giocare nella prima squadra del Livorno ed in quanto a presenza scenica, non è secondo a nessuno. Sono tutti seri tranne lui che fa una battuta dopo l'altra…quanto lo capisco, quello è DNA.
Mentre si sta concludendo l'ultimo dei 5 giri, sentiamo un ruggito provenire dal tunnel degli spogliatoi…i nuovi arrivati non si rendono conto subito della situazione, ma dalle facce dei senatori si capisce che sta per succedere qualcosa. Si sentono i passi di una persona che sta procedendo deciso e urla ingiurie a destra e manca. Un dirigente si fionda all'interno nel tentativo di calmare il nuovo arrivato. Ormai tutti hanno capito di chi si tratta…"Franchino".
Il capitano, Massimo Giovanelli, ci ferma per fare un po' di stretching. Mentre ci sistemiamo in cerchio non possiamo fare a meno di guardare verso l'accesso al campo. Franchino è enorme e incazzato nero. Tiene in mano una piccola borsetta per l'allenamento che lancia in panchina appena mette piede in campo. Piccola…sembra piccola, ma non lo è.
"Chi cazzo ha scelto questo posto di merda per fare questo raduno! E' in culo al mondo! Arghh…" 
Non ricordo molto bene quello che disse precisamente, ma era davvero fuori di sé e non era una buona notizia. Qualcuno gli si avvicina per salutarlo e calmarlo, qualcuno che un attimo prima era scocciato per il ritardo gli va incorro docile per dirgli di non preoccuparsi se era arrivato qualche minuto dopo. Sai sono cose che succedono… Ma lui non si calma e continua ad inveire contro gli organizzatori ed il posto a suo dire irraggiungibile.
A questo punto si muove Giorge Cost in persona che lo affronta e cerca di riportarlo alla ragione. Come primo impatto con la Nazionale non c'è male…
Alla fine anche il Giova di decide ad intervenire. Va verso la panchina dove Chino stava cambiandosi, e cerca di parlargli. In risposta riceve un insulto e lo stesso trattamento degli altri. Qui le cose cambiano. Sono due "Capibranco". Anche il Giova alza la voce, si inalbera. Chino si alza dalla panchina e lo affronta. Si avvicinano scambiandosi brutte parole. Si teme il peggio… Dopo gli insulti gli sguardi, sono a pochi centimetri l'uno dall'altro e si affrontano impettiti. Nessuno dei due abbassa lo sguardo. Roba da pelle d'oca.
Noi intanto facciamo stretching…Guidi: "un milione di lire per chi va a dividerli…" Risatine…uno risponde: "ma non ci basterebbero di ospedale…" altre risatine, ma proprio ine, se uno dei due ci sente son cazzi…
Alla fine il più coraggioso si rivela Coste, che si butta in mezzo ai due che stavano preparandosi a menare le mani. "Forza ragazzi, così ci facciamo solo del male, ci rimettiamo tutti, fatelo per me!".
Parole magiche dette da un padre. Ecco chi era Coste per quella squadra. Risolta la contesa, anche solo momentaneamente, ma risolta.


Riprendemmo il nostro riscaldamento senza i due e l'allenamento continuò con una "lieve"tensione. Tanto per concludere, la partita la vincemmo noi, anche alla grande e quella rimane ancora oggi una delle più belle prove di sempre offerte dalla nostra nazionale!

venerdì 25 novembre 2011

racconti di rugby: Vecchie Glorie...

racconti di rugby: Vecchie Glorie...: Da giocatori erano temibili, tenaci, vincenti. Non si accontentavano di partecipare ad un evento sportivo, loro volevano esserne protagonist...

il risveglio...



Il rugby è fatto così: giochi, l'adrenalina pompata nelle vene ti carica e sostiene, può accedere di tutto, non lo senti. Poi c'è il terzo tempo, che ti serve anche a scaricare tutta la tensione accumulata, e lì tutti imparano subito come si fa. Poi c'è il risveglio, che può essere traumatico, addirittura drammatico.
Questa è stata una di quelle occasioni, dei risvegli drammatici! Non avevo un solo centimetro di corpo sano, troppo lungo elencare tutte ammaccature, dolori ovunque e soprattutto avevo perso l'uso della spalla destra. Non riuscivo proprio ad alzarla. Beh poco male, però mi son proprio divertito!
Mi alzo dal letto, mi do una rinfrescata dopo serata della sera prima e vado a fare colazione...
La stanzetta della colazione è piccola, con due tavoli rotondi e sulla destra il solito buffet continentale con uova, bacon, frutta ed ogni ben di dio. Io arrivo con la mia andatura un po' claudicante e la spalla lungo il corpo. Entro.
Nel tavolo più scomodo ma più vicino al buffet vedo Moscardi, Cutitta, D'Anna e Menapace.Tutti hanno davanti a loro una bustina di antinfiammatorio. Il primo con le mani tra i capelli e sguardo fisso nel vuoto, il secondo tenta di girarsi per salutare ma non ce la fa. Vittorio è stanco ma è anche quello messo meglio, poi vedo Giorgio, ha le braccia viola, immagino gli facciano male, ma la prima cosa che dice è: "visto? ne ho tirate due o tre bracciolate!". Lo Amo!
Mi prendo la mia colazione e mi accomodo, partono le battute, ci si prende un po' in giro, si cerca di sdrammatizzare, ma c'è un filo di preoccupazione che serpeggia tra di noi...
Ad un certo punto nella sala entra qualcuno, non ricordo chi, ci guarda, ride e ci dice: "Siamo pronto per domani? hahaha!" Ecco cos'era quel fastidio di fondo! Domani giochiamo di nuovo, è una follia! Questo torneo è una follia! Neanche se fossimo stati allenati come professionisti avremmo potuto giocare due partite in tre giorni! Che sia per questo che le altre squadre si sono presentate in 25-30 giocatori?
Poco male, siamo italiani e in qualche modo si farà!

giovedì 24 novembre 2011

la fine

Negli ultimi cinque minuti del primo tempo segnano ancora 3 o 4 mete. Ormai siamo stanchi e un po' demoralizzati e loro, come ogni squadra inglese, ci puniscono ad ogni errore. Direi proprio che godono nel segnarci una meta dopo l'altra. Per fortuna c'è la pausa.
10 min che non bastano. Tempo di riprendere fiato e via di nuovo a farsi travolgere, ma questa volta con molta meno presunzione che nel primo tempo. Non apriamo più una palla! Il principio è semplice: finche la palla ce l'abbiamo noi, loro non possono segnare...ma il problema è tenerla... Le azioni si svolgono più o meno allo stesso modo, partenze ravvicinate nostre, pik and go a ripetizione, ancora partenze strette. Non abbiamo neanche la pretesa di segnare, lo scopo è solo di concludere la partita. Salvi. Ma la maggior parte delle volte dopo minuti di nostro possesso palla, loro recuperano e in un attimo siamo tutti sotto i pali. Non vediamo l'ora che finisca!
Ma sul tantissimo a zero succede qualcosa. I Pink Lions fanno un soprannumero e liberano l'ala, un certo Lewsly che ha spazio e accelera. Non ricordo bene chi, ma con uno scatto fenomenale lo prende, almeno lo rallenta, ed in un attimo gli siamo sopra in 4. Ognuno ci mette tutto quello che ha...soprattutto frustrazione per non averlo mai preso... L'arbitro fischia, è una delle poche azioni che non è finita nella nostra area di meta. Tutti si alzano tranne lui. E' a terra. E adesso ve la dico tutta.
"Brutto stronzo, così impari a fare il fenomeno coi vecchietti! hai smesso di giocare la settimana scorsa... Speriamo che tu esca anche dal campo..." 
Non mi fa onore. Ma è quello che ho pensato. L'importante è comunque averlo rispettato ed avendogli tirato un bel placcaggio ignorante e in 4, ma nelle regole.
Insomma lui esce, e la nostra squadra ha un sussulto di orgoglio. Impostiamo una azione di attacco vera e propria, muoviamo un po' la palla da una parte all'altra del campo. loro fanno falli. Sono stanchi. Ho ancora un po' di energia da spendere, gioco veloce. Vedo Matt, che come contro la Nuova Zelandanel 2003, mi guarda. Calcio a 5 metri dalla meta, parto subito, fisso e gliela dò. E' lui che deve portare quella palla di là dalla linea...non ce la fa. Placcato ad un metro, impostiamo una partenza assistita per fare quel maledetto metro, ma sbattiamo contro un muro. Dopo una serie infinita di tentativi vedo lo spazio. E' di Zanoletti la possibilità. Parto dalla chiusa, taglio il campo e gliela passo piatta, quasi avanti. Un inglese, al momento che lascio la palla, forse capisce che non può aspettare che quel l'italiano la prenda perché sarebbe spacciato, allora tenta l'intercetto...ma è tardi per lui. Cristian c'è, puntuale, prende la palla dritto come un fuso ed supera quella linea che sembrava invalicabile. Meta. Boato dello stadio. Probabilmente cominciavamo a fare tenerezza...
Alla fine la partita è finita 84 a 5, ma considerato il buon livello di gioco che abbiamo trovato, la nostra impreparazione all'arrivo sull'isola e soprattutto il ristretto numero di giocatori disponibili, credo sia stata una buona partita, dove abbiamo comunque dimostrato di saper giocare a rugby anche in condizioni disperate come lo eravamo noi. Ora però è finita e basta rugby giocato, adesso è ora della birra e su questo siamo intenzionati a farci rispettare!


vi lascio anche un video di una festa di qualche anno fa...

mercoledì 23 novembre 2011

racconti di rugby: perché è così affascitante questo sport?

racconti di rugby: perché è così affascitante questo sport?: Sdraiato supino, occhi chiusi, sento la testa che gira. Per fortuna sono già a terra altrimenti non saprei dire in che direzione sarebbe vo...

indigesti

Probabilmente al caro Dodo gli devono essere rimasti indigesti i primi Lions che "sé magnato"... La nostra eroica difesa ha retto proprio fino a quel momento, poi è stato un calvario.
La nostra partita è stata più che buona per intensità e voglia propositiva fino al 25' del primo tempo. Impostiamo un azione lodevole, partendo da lontano, giocando alla mano, ricicli veloci, avanziamo, il sostegno arriva sempre prima degli avversari, fatichiamo ma li stiamo mettendo sotto. Arriviamo di fronte ai pali e dentro i 22 dei Britannici, si forma una ruck , la palla non esce...sono all'apertura, davanti a me ne ho solo uno e a fianco sono circondato di compagni. E' fatta. Concentrato adesso, è l'ultima fase, poi siamo in meta. Chiamo la palla, non esce. Chiamo ancora, più passano gli attimi più difensori arrivano. Questa maledetta palla non vuole uscire...arghh orrore! E' schizzata fuori dalla parte loro! e per giunta dalla parte opposta a dove siamo piazzati noi!
Scatto come un invasato a prendermi il primo pasticcino rosa che riesco, è più la rabbia e la frustrazione che mi spingono, che la reale energia rimasta in corpo. Lo placco, tento anche il fallo per interrompere l'azione. Come me fanno tutti gli altri. Ma davanti ci sono i Lions... Contrattacco di 90 metri con meta in mezzo ai pali, morale a terra, energie esaurite, partita chiusa.
Chi è rimasto a terra nell'azione si rialza e si dirige dietro i nostri pali per ritrovarci ancora. Ma adesso si sentono tutte le botte prese, tutta la stanchezza, tutta l'impreparazione! Mancano ancora 35'!



Ma io sono strano. Più le cose son difficili, impossibili e più mi esaltano. Dentro di me rido e penso: "Questa è una squadra di matti".

martedì 22 novembre 2011

i Lions

Sono due giorni che aspettiamo di sapere se e quando giocheremo la prima partita. La tempesta si accanisce contro questa piccola isola e soprattutto contro i tendoni che hanno montato allo stadio. Il campo, a dire la verità, è in ottime condizioni, ma da queste parti conta moltissimo l'indotto che crea l'evento sportivo. Quindi senza la possibilità di approntare degli stand per sponsor e tifosi vari, il torneo non comincia. Semplice.
Noi nel frattempo cerchiamo di assumere una parvenza di squadra, sveglia alla stessa ora, pasti tutti insieme, una volta al giorno un piccolo allenamento e la mattina liberi di esplorare l'isola sotto la pioggia...per fortuna che per scrupolo mi ero messo k-way in borsa!
Ma non tutti gradiscono la vita da finti professionisti...Un giorno Matt Phillips, scocciato dai troppi allenamenti, ci dice (vi prego di sforzarvi a leggere con un accento un po' inglese): "se facciamo cagare oggi non è problema...facciamo 7 allenamenti e domani siamo fortissimi...". Sandro Moscardi lo fulmina.
Finalmente arriva la notizia che tutti aspettavano: giochiamo. E' quasi una liberazione, stare nel limbo era diventato un tantino pesante e tutti avevano voglia di "togliersi il dente".
Due ore prima della partita ci troviamo nel porticato di una delle camere e facciamo una breve riunione organizzativa e la consegna maglie più informale della storia. Il piano è questo: "assalto all'arma bianca con i nuovi scooter noleggiati pochi giorni prima cercando di riportare poche perdite..."


Alla stregua di tanti easy rider partiamo alla conquista dei Lions...
Sfrecciando tra le macchine come degli adolescenti arriviamo allo stadio. Stanno ancora giocando New Zealand Classic contro USA Classic, ci fermiamo a guardare la partita. Una trentina a zero per gli All Blacks, ovviamente. Ma la cosa che ci colpisce è il ritmo e l'intensità di gioco...tutti scherzano ma si vede chiaramente che siamo preoccupati.
Ormai manca poco. Riscaldamento e via, in campo per levarsi questo peso dallo stomaco.
La fortuna che abbiamo è che con quel vento è molto difficile sviluppare un bel gioco arioso, di contro però si moltiplicano le fasi e gli errori, di conseguenza i contatti. La partita è dura! Tanto dura! E noi ce la mettiamo davvero tutta, ma siamo troppo arrugginiti e fuori forma rispetto agli altri. Dopo dieci minuti dove abbiamo tenuto bene il campo mettendo anche in difficoltà i Britannici, subiamo una prima meta. Dietro i pali guardo i compagni più in su con l'età e mi viene da ridere...ma come cavolo faranno a finire questa partita?
Al ventesimo del primo tempo, tra un placcaggio, un pestone e una ginocchiata (tutto regolare, questo è classic), incrocio lo sguardo di Dodo Vaggi che placca a destra e manca ma che non ha più energia da spendere. Ci guardiamo, e gli dico: "oh lasciane uno anche a me..." e lui risponde "aoh io me li magno!"
continua...

L'allenamento prepartita

Forse era meglio se quei cari e grossi ragazzi degli Stati Uniti si fossero allenati da un altra parte...
Questa era la situazione: da una parte noi, tutti vestiti diversi e nessuno con roba della nazionale, 17 desaparecidos; dall'altra i cari Yankies, tutti vestiti uguali, con una divisa impeccabile, con gli allenatori, i preparatori atletici…addirittura le fisioterapiste! Un altro pianeta, e non solo per l'organizzazione, ma anche per il livello dell'allenamento. Negli sguardi delle vecchie glorie italiane stava nascendo il dubbio: ma chi me l'ha fatto fare!
Nonostante tutto, ritroviamo il buon umore giocando a touche. Dopo 20 minuti di partitella avanti contro tre/quarti i primi commenti: "non esageriamo…domani si gioca" oppure, "ho i polpacci duri…". Andiamo bene! Venti minuti di corsetta e siamo già messi così… Dò un'occhiata al campo a fianco. Stanno provando la squadra! Partenze da mischia, da touch, sequenze coi tre/quarti… 
Non sono l'unico ad aver guardato il campo a fianco. Sandro Moscardi prende in mano la situazione, ci dividiamo per reparti e abbozziamo qualche giocata su due piedi. Proviamo la squadra anche noi e alla fine pur con qualche tensione tra di noi, ritroviamo un po' di fiducia. Proprio scarsi non siamo. Torniamo in albergo.
L'albergo è bello, un po' retrò, ma bello. Le camere sono mini-appartamenti costruiti intorno ad una graziosa piscina circondata da lettini, gazebo e quella meravigliosa vegetazione che contraddistingue i caraibi. Ma…C'è sempre un ma, in questa trasferta!
Ma è arrivata una tempesta tropicale-uragano e sembra che voglia parcheggiarsi proprio al largo delle Bermuda! Vento a 100/110 km/h e pioggia a secchiate. Carino no? Dopo le comprensibili imprecazioni chiamiamo i taxi ed andiamo in centro dove Giovanni ci ha invitato nel suo ristorante per farci assaporare le sue famose specialità italiane. Amo gli emigranti!

Vecchie Glorie...

Da giocatori erano temibili, tenaci, vincenti. Non si accontentavano di partecipare ad un evento sportivo, loro volevano esserne protagonisti, loro volevano vincerlo! Da giocatori...ma ora è da almeno una decade che non scendono in campo!
Diciamo peró, chi più, chi meno, che tutti in fondo ci sentiamo delle vecchie glorie, e proprio per questo c'è grande complicità nel gruppo che è partito dall'Italia alla conquista delle bermuda.
Eravamo rimasti ai dubbi che stavano turbando la comitiva in partenza. Possibile che Alessandro Moscardi, con la sua grande esperienza, abbia accettato di venire a giocare 2 partite di "rugby vero" nel giro di 3 giorni, dopo aver appeso le scarpe al chiodo da quasi 10 anni? E Marcello Cutitta...da più di 10 anni?
Sicuramente sarà una passeggiata.
Arrivati a destinazione, dopo una sosta shopping a New York, ci impossessiamo delle camere-appartamenti e ci diamo appuntamento per una sgambata defaticante. È più forte di noi. Ormai stiamo entrando in clima partita, e cerchiamo di fare tutte quelle cose che un tempo dettavano i nostri ritmi ai raduni. È incredibile come certe abitudini ti rimangano dentro anche dopo tanti anni.
Insomma andiamo al campo per la sgambata.
Ci spogliamo, entriamo in campo, una corsetta...ma il pallone?? E chi ci ha mai pensato al pallone?!
Per fortuna, nel campo a fianco arrivano gli USA ad allenarsi, facciamo gli sfacciati e ci facciamo prestare i primi 2 palloni...
 

Bermuda Classic

Tutto è cominciato con una telefonata del Moro che mi chiedeva se ero disponibile a giocare il "campionato del mondo old" alle Isole Bermuda, tutto spesato e addirittura coccolato con massaggi e benefit vari. L'unico vero impegno era che dovevo tenermi libero dal 3 al 14 novembre…mah. Ci doveva essere l'inghippo, ma la mia smisurata fiducia nel Moro mi aveva fatto accogliere la proposta con il più grande entusiasmo.
Passano i giorni e i mesi, ma non si sa niente. Giri di mail tra i partecipanti, niente. Fino a luglio dove richiedono un contributo, una quota associativa, immagino per le defezioni collezionate fino a quel momento. Comunque l'entusiasmo non manca e ogni tanto, coi partecipanti, ci sentiamo per scambiarci opinioni. Su youtube si trovano filmati del "Bermuda Classic Rugby" ma sono vecchi e di scarsa qualità, sembra che l'intensità di gioco sia buona ma non ci è dato sapere altro per la scarsa durata dei clip. Appena prima di partire, Tony Green, ci informa che troveremo rugby vero e tanta birra…
Rugby vero vuol dire tutto e niente. Nella nostra squadra abbiamo Marcello Cutitta, Alessandro Moscardi, Vittorio D'Anna, Giorgio Menapace grandi campioni, ma che non giocano da una vita. Sicuramente sarà un torneo di vecchie glorie che vanno alle Bermuda a farsi principalmente una gran bevuta…Mai fidarsi delle "vecchie glorie"…