lunedì 16 novembre 2015

Un po' di chiacchiere



In adolescenza, quando giocavo nell'U15 del Rugby Livorno, ero un ragazzino molto piccolo, direi il più piccolo, ogni allenamento per me era una prova da affrontare e solo il fatto di scendere in campo era un esame molto duro. Uno degli aspetti che mi distinguevano dagli altri, oltre alla minutezza del fisico, era il mio proverbiale odio per la sconfitta, ogni volta che si perdeva mi scendevano lacrime a fiumi, ne soffrivo terribilmente e non potevo farci niente, nonostante mi sforzassi di accettarla. Anche nelle partitine di allenamento, quando il coach dava il via alla contesa, per me cominciava una sfida personale...sentivo quei brividi lungo il corpo, quella eccitazione dei sensi, che mi rendevano vigile ed attento ad ogni particolare. Nel momento che l'allenatore spiegava le regole di gioco, ero sempre attentissimo per capirle e interpretarle con fantasia, per giocare con efficacia anche in carenza di efficienza fisica. Intendiamoci, ero un piccoletto, ma non avevo niente di patologico...
Mio padre, che è stato un ottimo giocatore, ma anche un grande allenatore, mi diceva sempre di non mollare mai, anche di fronte ad una montagna, anche di fronte ad un ostacolo che sembrava insormontabile, di lottare fino alla fine, di credere in me. 
Avevamo un bastone da pastore piantato in un vaso sul terrazzo di casa, era bello, levigato, secco, morto...  Quando Babbo mi parlava di rugby e di allenamenti vari diceva sempre: "annaffia il bastone!"
Ma che è sto bastone? Mi chiedevo, ma che vuoi che cresca da un bastone vecchio e rinsecchito?!
Poi arrivarono gli anni dello sviluppo, finalmente avevo due peli sotto le ascelle, e non solo...cominciavo a sentirmi un po' uomo anch'io e obbiettivamente oltre a sentirmi più forte lo stavo diventando! Riuscivo a piazzare anche più lontano che dai 22...passavo la palla fino a 8-10 metri...e soprattutto placcavo! E che placcaggi!
Per anni mi ero ingegnato a trovare un modo poco doloroso ed efficace per buttare a terra gli avversari (e compagni di squadra negli allenamenti), avevo sofferto della mia gracilità e adesso sentivo i compagni farsi più morbidi e flaccidi, sentivo che pian piano guadagnavo terreno sull'aspetto brutale della forza fisica! Ormai avevo preso gusto a sfidare chi mi si parava di fronte e, pur rimanendo piccino di statura, riuscivo a dare del filo da torcere anche ai più grossi.

Il segreto di tutto questo?...per anni mi ero impegnato a capire il gioco ed allenato con caparbietà e tenacia, credendo in me. Adesso con il naturale sviluppo tutto era più facile...avevo annaffiato il bastone secco fino a farlo diventare una quercia.

1 commento:

  1. io ti ricordo quando eri piccolo e il tuo babbo quando noi avevamo finito di allenarci ti faceva allenare

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