sabato 10 dicembre 2011

MIKE BREWER, la presentazione

Nella stagione sportiva 1998/99 ero a L’Aquila. Ci eravamo salvati, ma il campionato non era stato proprio dei migliori. La prima vittoria arrivò a Natale e per la seconda dovremmo aspettare altri due mesi. Per fortuna la formula un pò strana dei due gironi da 6 ci aiutò a rientrare in corsa per la salvezza. Nel girone dei play-out, nonostante fossimo rimasti senza allenatore finendo il campionato in autogestione, riuscimmo a salvarci ad una partita dalla fine. Sarebbe stato troppo umiliante essere la prima compagine aquilana retrocessa in seconda serie...
L’anno successivo, la dirigenza si era mossa per tempo ed aveva inserito in società, Gino Troiani e Mike Brewer.
Gino, lo conoscete tutti spero, ex nazionale di grande spessore, ma soprattutto persona molto seria ed affidabile.
Mike Brewer, Neozelandese, ex terza linea degli All Blacks che avevano perso la finale mondiale nel 1995 contro il Sud Africa. Arrivava a L’Aquila con la fiducia incondizionata di tutta la società e squadra. Si era persino portato un personaggio che avrebbe dovuto riorganizzare il lavoro negli uffici al Centi Colella...lavoro non facile...
Bene, primo allenamento.
Ci troviamo al Centi Colella ore 15. Alle 15,20 ancora non ci sono tutti i ragazzi, a quel tempo non è che la puntualità fosse un nostro punto di forza...Mike, era leggermente infastidito, ma manteneva il contegno tipico anglosassone. Iniziamo. L’allenamento  avrebbe dovuto essere solo una piccola sgambata per ritrovarci e conoscere i nuovi giocatori che erano arrivati, e invece si tramutò in tragedia.
Ci dividemmo in due squadre e giocammo ad un toccato molto soft. Ogni 2 passaggi uno cadeva in terra. Tutti venivano da un estate di rilassatezze e avevano voglia di fare due risate, più che di fare un allenamento. Tutti provavano sottomano, passaggi ad una mano, dietro la schiena e puntualmente cadevano a terra. Dopo i primi minuti, Mike evidentemente disturbato dall’atteggiamento troppo rilassato, ci richiama all’ordine, ma l’ambiente non era per niente abituato ad avere un controllore severo. Continuammo a far cadere decine di palloni.
A questo punto, il nuovo allenatore perse la poca pazienza che era riuscito a trovare. Urlò: “Da adesso fino alla fine, per ogni pallone che cadrà farete una HITLA”. Nessuno aveva la più pallida idea di cosa significasse Hitla, continuammo a cazzeggiare ancora per un pò, e lui cominciò a contare le palle cadute. 1,2,3...45, 46...intorno alla quarantina, a qualcuno venne il dubbio che fossero esercizi punitivi... Con questi dubbi in testa, cercammo di impegnarsi un pò di più, ma nonostante tutto, alla fine dell’allenamento arrivammo a 77 palle cadute.
Senza farci bere o riposare un attimo, ci fece schierare tutti sulla linea di touche e ci spiegò molto velocemente che le Hitla erano delle navette di 10 o 20 metri, andata e ritorno, da fare al massimo della velocità. Il riposo lo decideva lui di volta in volta. 
Quelle 77 navette furono durissime da finire. Brewer urlava come un invasato:”correte! dovete imparare la disciplina! avanti! ancora!”
Se qualcuno rallentava, quello si avvicinava e cominciava ad urlargli contro tutta la sua rabbia. E di rabbia sembrava che ne avesse da vendere! Una cosa incredibile! Quell’invasato sbraitava come un matto, gli colava la bava dalla bocca come ad un Terranova. Eravamo decisamente intimoriti, dalla rabbia, dalla stazza e dalla bava! Facemmo le navette, tutte. In quattro o cinque si fermarono per vomitare, ma poi il Bovaro gli fece scontare la pena fino all’ultimo.
A sera rimanemmo in pochi al bar del Centi Colella, ci guardammo e fummo concordi nel pensare: “ Sarà una stagione molto lunga ed impegnativa!” 

1 commento:

  1. Ricordo bene quei giorni Matteo! Mio fratello Flavio Tripodi giocava da poco con la prima squadra, e la prima cosa che ricorda di Brewer fu una sua frase: "qui a L'Aquila ci sono tante belle montagne... andiamoci a correre!" :)

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