martedì 6 dicembre 2011

MONDIALI 2003 come ho perso la nazionale

Credo, o meglio spero, che molti si ricorderanno il mondiale giocato nel 2003 in Australia. C’ero anch’io. Nel riscaldamento della partita contro il Canada, Troncon ebbe qualche problemino personale. Mai saputo quale. Per quanto mi riguarda, la cosa significativa fu che a 5 minuti dall’ingresso in campo, quando le squadre avevano già finito il riscaldamento, e le panchine, me compreso, stavamo andando a prendere posto nella nostra postazione di spettatori privilegiati, venne John Kirwan a dirmi: “scaldati come puoi perché giochi tu”. Esplosione emozionale. Col cuore a mille vado in campo a scaldarmi come un invasato. Andature, sprint, navette, passaggi senza tregua per 3 minuti. Torno dentro, atleticamente freddo, ma mentalmente infuocato, e Kirwan mi dice: “Che fai? Vestiti e vai in panchina!” Ma come? Va beh… eseguo. Mentre faccio il corridoio che porta in campo, mi sto rivestendo del tutone termico, incontro il preparatore che mi guarda perplesso e dice: “non sei ancora pronto? Che aspetti, devi giocare!” Lo ragguaglio mentre passano i tiolari, e mi accomodo in panca.
La partita è, come sempre, molto combattuta, ma abbiamo i mezzi per vincerla. Finisce il primo tempo e con il resto delle riserve vado a fare una corsetta per tenermi caldo. Passano 2 minuti e arriva il preparatore e mi informa che giocherò da subito…  “programmazione all’italiana” penso.
Entro, per i primi dieci minuti tutto bene, credo anche di aver dato un bel ritmo, poi dopo una mischia per il Canada nei loro 22, faccio pressione al mediano che sbaglia il passaggio, Parisse raccoglie, rilancia Manuel Dallan che entra in meta di forza. Abbiamo fatto il break decisivo…forse.
Nella rimessa da centrocampo che segue cominciano gli errori. Prima De Rossi sbaglia la presa, poi io per calciare scivolo e tiro un rasoterra in touche. La tensione in squadra sale incredibilmente e loro, ovviamente, ne approfittano. Ci mettono sotto, con tanta pressione e forza fisica. Nonostante tutto, riusciamo a tenerli sotto nel punteggio, ma ad ogni azione c’è qualcuno che ne combina una. L’ultimo errore è un mio passaggio rasoterra per Rima Wakarua che fortunatamente raccoglie e ci mette una pezza. Loro attaccano, senza grandi manovre, ma con tanta voglia. Sono folate pericolose. A pochi minuti dalla fine, dopo l’ennesimo calcio sbagliato, il loro estremo contrattacca e buca in velocità la nostra difesa. Me lo trovo davanti lanciato. E’ un attimo, se non lo prendo addio speranze di qualificazione. Non so come (anzi, lo so) ma lo placco, e che placcaggio! Mi rialzo e frego pure la palla, ci riorganizziamo e liberiamo in rimessa laterale. Finita. Abbiamo vinto, era tutto quello che dovevamo fare, c’è soddisfazione ma non esaltazione.
Alla fine il bilancio della mia partita è così e così. Una meta fatta è stata propiziata da me, ne ho salvata un’altra, ma ho fatto un sacco di errori che hanno messo la squadra in difficoltà. Mi auto-giustifico per il nervosismo della situazione creatasi.  Non sono molto soddisfatto, ma fatta la doccia, i giornalisti, soprattutto stranieri, richiedono la mia presenza in sala stampa. Che onore.
JK mi chiama e mi accompagna, di fronte alla platea dei media è gentile e socievole, mi fa le sue congratulazioni per essermi fatto trovare pronto in una situazione un po’ strana. Torniamo in autobus all’albergo, 5 minuti di viaggio.
Mentre scendo, JK mi chiama da parte. “Oggi Matteo, mi hai deluso molto. Ho visto che ridevi, che scherzavi, che non eri pronto ad entrare in campo. Da te non me lo sarei aspettato. Tu non tieni all’Italia.  Hai tradito la nostra maglia azzurra!” Pensavo che scherzasse, infatti abbozzo un sorriso, ma lo spenge con uno sguardo severo. Capisco che è serio, ma non voglio credere alle parole che sento.
Risultato. Da quel giorno neanche una parola, semplicemente indifferenza. Il 24 ottobre, per la partita decisiva contro il Galles, sono in tribuna.
Continua…

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